Un mare molto caldo, temperature alte e un’atmosfera umida al punto giusto da favorire una vegetazione lussureggiante, ricca di palme: sembra la descrizione della Florida (e in effetti le palme sono le stesse della zona meridionale di questo Stato americano), ma si tratta dell’Artico com’era oltre 50 milioni di anni fa.
Ricostruire questo scenario è stato possibile grazie ai pollini di palma rimasti imprigionati per milioni di anni nei fondali artici, racchiusi nei sedimenti marini, e portati alla luce soltanto adesso, dalla spedizione Acex (Arctic Coring EXpedition), condotta nell’ambito del programma Integrated Ocean Drilling e i cui risultati sono descritti sulla rivista Nature Geoscience.
Sulla base di questi nuovi dati, secondo gli autori della ricerca, dovranno molto probabilmente essere ridisegnati i modelli di riscaldamento climatico relativi all’Artico. Per i ricercatori dell’università olandese di Utrecht, che hanno analizzato i pollini, è la prima volta che viene documentato uno dei numerosi periodi di riscaldamento del clima avvenuti nel periodo chiamato Massimo termico dell’ Eocene-Paleocene. Periodi caldissimi associati ad un rapido aumento dell’anidride carbonica (CO2) nell’atmosfera e dalla durata media compresa fra 50.000 e 200.000 anni.
Proprio uno di questi “picchi” di riscaldamento climatico aveva portato l’Artico ad essere una zona tropicale. La temperatura del mare aumentò fra 3 e 5 gradi e i fossili trovati nei sedimenti testimoniano il proliferare delle alghe nelle acque di superficie. “La presenza dei pollini di palma – rilevano i ricercatori, coordinati da Appy Sluijs, del dipartimento di Paleoecologia – indica che nei mesi più freddi dell’anno la temperatura non scendeva comunque mai al di sotto di 8 gradi, in contraddizione con i modelli di simulazione attuali, secondo i quali le temperature invernali erano molto rigide”. Attualmente, osservano, le palme non riescono a crescere nei luoghi in cui in inverno la temperatura scende al di sotto di 5 gradi.
I nuovi dati, secondo gli studiosi, promettono di essere molto importanti nel ridefinire i modelli climatici e ridisegnare i futuri scenari sul riscaldamento dell’Artico e lo scioglimento dei ghiacci. E’ infatti la prima volta che si ottiene una stima precisa e attendibile delle temperature artiche in risposta all’aumento di CO2. Sulla base di questi nuovi elementi, proseguono i ricercatori, sarà necessario riconsiderare gli scenari che finora ipotizzavano inverni artici molto freddi e che non consideravano il ruolo di alti livelli di CO2. Si tratta, in definitiva, di individuare la soglia oltre la quale la concentrazione di gas-serra come la CO2 diventa significativa nel determinare cambiamenti climatici: solo così, concludono i ricercatori, sarà possibile fare previsioni utili sul futuro riscaldamento dell’Artico.
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