Anche se non si è ancora raggiunta un’età venerabile, il nostro corpo a poco a poco si arricchisce di cellule anziane che se danneggiate possono contribuire alla formazione di malattie. I ricercatori della Erasmus University Medical Center di Rotterdam, guidati dal biologo cellulare Peter de Keizer, hanno sviluppato una molecola in grado di eliminare selettivamente queste cosiddette cellule senescenti. La molecola è stata innestata su topi in età avanzata che dopo l’innesto sembrano ringiovanire anche nei comportamenti senza mostrare per la prima volta effetti collaterali evidenti.
Invecchiando, le cellule senescenti si accumulano nei nostri tessuti favorendo, secondo gli scienziati, l’insorgere di malattie cardiache, artrite e diabete.
In passato, gli scienziati hanno modificato geneticamente le cellule senescenti, permettendo ai roditori di vivere più a lungo. Tuttavia tali alterazioni genetiche non sono vantaggiose per gli esseri umani.
Esistono almeno sette composti, noti come “senolytics”, che uccidono le cellule senescenti. Tuttavia, gli attuali composti “senolytic”, molti dei quali sono farmaci contro il cancro, presentano aspetti negativi, possono infatti uccidere anche le cellule sane o innescare effetti collaterali, come un calo del numero delle piastrine, i mattoni cellulari che aiutano la coagulazione del sangue.
I ricercatori olandesi hanno quindi adottato una differente strategia per distruggere le cellule senescenti che rimangono in vita nonostante l’attivazione nel DNA di una proteina protettiva, chiamata P53, che avrebbe il compito di eliminarle. Peter De Keizer e il suo gruppo ha scoperto che un’altra proteina, FOXO4, aggancia la P53 impedendole di svolgere il suo dovere.
Per contrastare questo effetto, il gruppo ha progettato una molecola peptide (un composto di amminoacidi) che porta una versione abbreviata del segmento di FOXO4 che si attacca a P53 spingendo le cellule senescenti al suicidio, risparmiando le cellule sane.
La molecola dell’eterna giovinezza è stata quindi iniettata in roditori mutanti che invecchiano rapidamente e vivono circa la metà del tempo rispetto ai loro simili, così quando hanno già pochi mesi di vita iniziano a perdere la loro pelliccia assumendo un atteggiamento di pigrizia e subendo gravi danni ai reni. In questo caso il peptide sembra ridonare densità alla loro pelliccia e invertire il danno renale. Quando i ricercatori hanno testato la molecola su normali topi anziani, hanno registrato un quadro simile: oltre ad aiutare i reni e le pellicce, il composto sembra aver anche aumentato la loro volontà di esplorare l’ambiente circostante.
Anche se la molecola non ha ridotto sensibilmente il numero di piastrine in entrambi i gruppi, uccidere un gran numero di cellule senescenti potrebbe ancora provocare complicazioni potenzialmente fatali.
Ecco perché l’intenzione del gruppo di ricerca è muoversi con cautela cercando anche di determinare l’efficacia del peptide sulle cellule tumorali viste le somiglianze che condividono con le cellule senescenti. “Qualora il composto continuasse a dimostrarsi affidabile, potremmo immaginare di testare il peptide contro le malattie legate all’età o addirittura contro l’invecchiamento stesso”, afferma De Keizer.
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